"Il giorno della cittadinanza piangevo perché mi sono ricordata di quando ho messo le mie figlie in quel gommone"
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Armonela Jashari – Albania 1974
(Giuramento 07-10-2018)
Della mia storia ho sempre desiderato scrivere un libro però non sono molto brava ma mi piacerebbe molto e veramente ringrazio chi può ascoltarla e accettarla. Il motivo per cui ho lasciato il mio paese è che sono cresciuta come una bambina diversa perchè dentro di me pensavo che c'era di meglio.
La cultura, il modo di pensare, la gente grande mi turbava, non stavo bene, c'era qualcosa che non andava. Forse loro erano perfetti ed ero io che vedevo tutta un'altra cosa ma speravo sempre che un giorno la mia vita cambierà anche se non sapevo come.
L'unica che si è accorta di quello che provavo era mia madre. Lei lavorava come dottoressa e aveva un altro modo di vivere, aveva amici e contatti medici e quello mi dava forza che anche io volevo fare una cosa diversa.
Mio padre, è stato un uomo sempre nervoso, un padre padrone, beveva molto e metteva le mani addosso a noi cinque figli. Io non riuscivo a sopportarlo. Mia madre stava in un angolo, non interveniva, non so perché, forse aveva paura di lui o perché era un fallimento il loro matrimonio.
Sono cresciuta con tanto malessere dentro. Per uscire da quella casa ho frequentato la scuola serale, ho conosciuto un ragazzo bello e mi sono innamorata. Avevo 16 anni, ho trovato questo amore e mi sono sposata.
Ho avuto le prime due figlie in Albania ma a quel punto mio marito si è trasformato uguale a mio padre. Ho sofferto tantissimo e ho dovuto dire: “Voglio tornare a casa” ma per i miei genitori era una vergogna, non l’ accettavano e mi hanno detto: “L 'hai voluto e devi tenerlo”. Se me lo trovava mio padre il marito era diverso, invece ero io che l’avevo voluto.
Non capisco questi genitori che vedono le figlie soffrire e non intervengono, non prendono le parti. Questo non è amore.
Aver cresciuto queste due bimbe mi ha dato una forza incredibile anche se ero spesso giù di morale, avevo sempre mal di testa, male dappertutto.
L'unica a sapere cosa avevo dentro era sempre mia mamma, perciò andavo da lei. Un giorno le dico: “Mamma, le mie figlie non faranno la scuola in Albania.”, lei risponde: “Dove vuoi andare?” - “Non lo so ma loro non cominciano la scuola qui”.
Come l’ ho detto così è stato. Ho preso il gommone con le mie figlie, una aveva quattro anni e mezzo e una sei. Abbiamo avuto molta paura perché eravamo 40 persone, tanti bambini che piangevano e loro che continuavano a dire: “Mamma quando arriviamo?”. Siamo arrivate il 22 luglio 1999. Qui c’era già mio marito.
Ho sofferto molto, mi mancavano le cose migliori, mia mamma e mia sorella che eravamo molto legate. Questa sofferenza non mi lasciava, ma mi dicevo: “Devo essere forte perché è quello che ho voluto. Devo cercare lavoro e mandare le mie figlie a scuola.”
Grazie a Dio le persone a Reggio Emilia, che siete bravissimi, mi hanno aiutato a iscrivere la più grande a scuola dove c’erano dei professori bravissimi anche se non sapeva la lingua e l'altra all'asilo. Tutte le mattine mi alzavo con la forza di portarle a scuola perché pensavo che un giorno facevano una vita diversa.
Io ho trovato lavoro in una famiglia che mi ha accolto e mi ha aiutato tantissimo. Mi hanno detto: “Se vuoi venire qui con le tue figlie, è come casa tua.” Non ho accettato perché mio marito aveva il vizio di bere e non volevo rovinare le cose. Vedevo molto lontano un futuro solo con le mie figlie.
Diciotto anni fa è arrivata la terza figlia e ha portato molto fortuna. Quando ho trovato lavoro abbiamo trovato una casa da soli perché vivevamo da mio cognato, 12 persone in un appartamento, dormivamo in cinque su un divano letto. È stato molto terribile.
Ho lavorato per 8 anni in regola da questa famiglia reggiana, facevo le pulizie. Loro andavano spesso in viaggio nel mondo e mi lasciavano le chiavi di casa e dell'allarme. Io gestivo tutto. Quando tornavano anche dopo mesi, non hanno mai trovato qualcosa che non andava.
Un giorno ho trovato un orecchino col diamante della signora, l’ho raccolto e lasciato sopra il tavolo. Lei mi ha premiato con 100 euro. Non li volevo ma lei ha detto: “ Devi prenderli e andare a mangiare una pizza con le tue figlie”. Quello mi ha dato molta forza e sono stata contenta perché la fiducia per noi stranieri è molto importante e dobbiamo essere noi a crearla nelle altre persone. Non è facile entrare in una famiglia, è una difficoltà per noi ma anche per loro.
Ho lavorato sempre senza guardare il loro benessere ma solo al mio lavoro e a portare a casa soldi puliti.
In Italia ho conosciuto persone che hanno visto che ero da sola con tre figlie e mi hanno aiutato tantissimo. All’inizio pulivo la biblioteca della chiesa dei Cappuccini e il frate, siccome non volevo soldi, mi pagava i libri per le mie figlie, perché diceva: “Te lo meriti e le tue figlie devono andare a scuola”. Mi dava anche delle cose da mangiare. Quando arrivavano le bollette, l’affitto e il condominio, a volte non ce la facevo e con tanto malessere perché mi vergognavo, andavo da loro e mi hanno sempre aiutato. Quando mia figlia grande ha cominciato a lavorare, ho ringraziato tanto e ho detto: “Preferisco che voi adesso aiutate una persona che ha più bisogno di me. Adesso mia figlia lavora e ce la facciamo”.
Ogni persona che ho trovato qui, più italiani che albanesi a dire la verità, mi hanno aiutato molto e io li ringrazio per sempre. Ho preso anche la patente a 30 anni, ero grande ma uno ce la fa sempre, se lo vuole. Ho continuato a portare loro a scuola, ero una mamma molto protettiva perché volevo per loro una vita diversa.
Un giorno una di loro dice: “Mamma non vado più a scuola”. Ho detto: “ Se non andate a scuola domani venite con me”. Le ho portate dove lavoravo che pulivo un capannone e ho detto: “Prendi la scopa e tiri via le ragnatele”. Ha detto: “ Che schifo c'è tutta la polvere”. Ho detto: “Io devo fare questo per mantenere voi”. La mattina dopo si sono alzate un’ora prima per andare a scuola.
Nel quartiere dove viviamo da vent'anni, San Maurizio, ci sono tanti stranieri ma anche persone reggiane. Mi sono trovata sempre molto bene, mi rispettano tutti e anche se ho fretta, saluto tutti.
E’ pieno di cinesi, africani, albanesi, però uscita dal quartiere mi sentivo italiana. E’ come vivere due volte. Io amo l’Albania, non scorderò mai le mie origini e le mie radici perché mia nonna mi ha insegnato i valori ma io mi sentivo già Italiana e quando ho preso la cittadinanza mi sentivo proprio reggiana.
Da quando abbiamo cominciato a preparare i documenti è passato un anno e mezzo di silenzio, quando le mie figlie venivano dal lavoro chiedevano: “Mamma allora?” .
Quando ho ricevuto la telefonata dal comune, mi sono commossa tantissimo. Ero al lavoro e la signora molto gentile ha detto: “Prendi carta e penna con tranquillità e scrivi quello che ti serve quando vieni qua”. Ho scritto malissimo e mi sono presentata quel giorno che non avevo niente di quello che serviva perchè è stata un'emozione troppo forte. Stavamo aspettando da tanto ed è stata veramente una cosa bellissima.
Sono molto fiera e contenta che abbiamo preso la cittadinanza italiana. Essere insieme a persone di tanti paesi diversi, per un attimo ti vedi come uguale a tutti gli altri, anche loro piangevano e senti come che tu, con la tua storia, entri nella storia degli altri. Per un attimo è come se il tempo si ferma, guardi uno e l'altro e capisci che ognuno ha una storia diversa. Mi ha dato molta emozione.
E’ stata una bella giornata anche per le mie figlie. Vedevo nei loro occhi un'emozione forte anche se cercavano di essere dure e mi dicevano: “Basta mamma non piangere più”. Io però piangevo perché mi sono ricordata di quando le ho messe in quel gommone e tutto questo percorso. Adesso è finita e siamo qui. Loro mi danno ancora la gioia di vederle così grandi ma che sostengono la loro madre quando ha queste emozioni. Ho visto però che anche loro erano emozionate. Quella che tremava non ero solo io.