"La mamma è una, ma la patria può essere anche un'altra"
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Alexandra Gheorghita - Moldavia 1963
(Giuramento 01-06-2018)
Ho lasciato il mio paese perché nel ‘92 la Moldavia ha chiesto l'indipendenza dall’ ex Unione Sovietica. La strada per l'indipendenza non è stata facile e abbiamo avuto una guerra interna. Mio marito ed io siamo stati nei campi della guerra, perché lavoravo come ospedaliera.
Dopo l’indipendenza la situazione economica ha cominciato a peggiorare e lavoravo senza essere pagata, anche per 7 mesi. Con il marito malato e 2 figli da tirare su, dovevo tirare la cinghia solo io e a quel punto ho deciso di partire, lasciare i figli, la famiglia per venire in Italia.
Il figlio più piccolo aveva appena compiuto 7 anni. Ho dovuto lasciare il mio paese a malincuore.
Non era il primo viaggio... il primo tentativo per arrivare in Italia è stato nel 2000, ma siamo finiti in Tunisia perché ci hanno fatto dei visti falsi. Abbiamo perso sia i soldi sia la possibilità di arrivare e abbiamo dovuto tornare a casa e riprendere tutto da capo.
Ho speso 4000 dollari, 2000 prima, bruciati perché non ci hanno restituito neanche un centesimo e poi per il secondo tentativo altri 2000 presi in prestito con l’ impegno della casa.
Con il secondo viaggio avevamo un visto regolare solo fino a Praga, poi abbiamo attraversato la Svizzera, Nizza, fino a Genova. Ho aspettato nella stazione sotto un muro tutta la notte da sola perché non ero regolare, finchè ho preso il treno per arrivare a Reggio Emilia alle 4:30 del mattino.
Dovevo anche prendere i cambi dei treni, ma non parlavo la lingua , mi hanno aiutato il macchinista, alcune suore e un signore anziano con una valigia. Mi sono avvicinata a lui e ho detto: “Reggio Emilia” e lui dice: “ io vado a Reggio Emilia, stai vicino a me quando viene il treno”. Mi sono presa quella valigia, la tenevo stretta stretta perchè avevo paura di perdere il vecchietto, ho detto: “se lo perdo, mi perdo anch'io.” Quel signore è stato gentilissimo e mi ha fatto capire: “non deve piangere perché se piange si avvicinano i Carabinieri e capiranno che ci sono dei problemi”, quindi mi sono fatta forza, ho preso un giornale e facevo finta che capivo l'italiano, ero italianissima in quel momento lì.
Ho chiamato la signora che doveva aspettarmi e dopo tre settimane finalmente ho trovato un lavoro, era il 10 ottobre, non dimenticherò mai la data. Sapevo che qua avrei fatto la badante ed ero pronta a qualsiasi lavoro purché onesto per poter mantenere la mia famiglia e i miei figli.
Ho iniziato il lavoro a casa di signori che mi hanno trattato… male è dir poco. Per 7 mesi sono stata in quella casa, arrivata con 86 kg. uscita con 59 kg. Dovevo bere solo l’acqua del rubinetto, non mi davano da mangiare, sulla frutta la signora metteva i segni e non potevo prenderne, dormivo nel suo letto perché se no si dovevano lavare due lenzuola, il bucato dovevo farlo a mano perché risparmiavo luce, acqua e detersivo. Avevo i capelli lunghi e me li voleva tagliare perché usavo troppa acqua e shampoo. Mi diceva che costa tutto.
Ho resistito perché non avevo alternative, almeno avevo un tetto e prendevo uno stipendio, anche se minimo. Ero contenta lo stesso perché riuscivo a pagare l'interesse mensile del debito.
Dopo un mese è arrivato il prete di Regina Pacis, don Fernando, mi ricordo il nome e lo metto in tutte le mie preghiere. Quando è tornato per la benedizione di Pasqua, non mi ha riconosciuto perché ero già quasi anoressica. Mi ha aiutato insieme alle catechiste a cui aveva raccontato la mia situazione. Sono venuti e mi hanno portata fuori da quella casa.
Il prete mi ha aiutato a trovare un altro lavoro e dopo poco ho iniziato nella casa dove sono tutt’ora. Da quel momento ho incontrato delle persone meravigliose, mandate da Nostro Signore: il prete, le catechiste e altre persone che mi sono vicine e siamo quasi sorelle, abbiamo un rapporto meraviglioso. Quando ho un dolore o una gioia, condivido sempre con loro. Sono la mia famiglia qua.
Non ho avuto il permesso di soggiorno per tre anni e non sono mai andata a casa. Appena sono riuscita a legalizzarmi ho preso il primo aereo. Avevo lasciato a casa dei bambini e ho trovato degli uomini.
All' aeroporto avevo paura che i miei figli non mi riconoscessero, una commozione che sono caduta in ginocchio, ho detto: “finalmente la mia terra e i miei figli” In quel momento ero la donna più ricca del mondo.
La situazione a casa pero’ non era migliorata e per garantire l’avvenire ai miei figli sono dovuta ripartire. In seguito sono riuscita a fare il ricongiungimento con il figlio di 11 anni, l'altro ormai ne aveva venti, faceva l'università e non potevo assolutamente toglierlo da lì. Adesso ha la sua famiglia e vive in Irlanda.
Dopo tanti anni sono ancora qua. Dicono che la mamma e la patria è una… a questo punto io posso dire che la mamma è una, ma la patria può essere anche un'altra. Per me sono due, la Moldavia e l'Italia. Fisicamente sono qua ma col cuore sono là, perché contano molto le radici. Il mio pensiero è un domani, non si sa quando, di ritornare... la mia vecchiaia e la morte vorrei che sia là, non qua.
Ho preso la cittadinanza italiana per essere libera nel movimento perché così ho tutte le strade e le porte aperte, prima ero limitata, così ho la libertà in mano e il primo viaggio, che ho sognato tantissimo, è andare a Medjugorje per ringraziare Nostro Signore e la Madonna per tutto quello che mi hanno dato, anche per il male che ho avuto. Anche quello è stato utile per me. Quando uno ha una vita facile, appena incontra una difficoltà si perde, io adesso non ho più paura di niente, sono pronta ad affrontare ogni difficoltà, ogni cosa, tutto.
Avendo la cittadinanza sono libera di andare da mio figlio.
L’emozione fortissima l’ho avuta prima di tutto quando mi hanno portato l'avviso, dalla gioia non vedevo a leggere. E’ stata una gioia immensa e anche quando mi avete detto “deve venire a ritirare un invito speciale per una cosa fatta apposta per voi”. Poi nella sala Tricolore ho tremato per tutto il periodo, dal primo passo, alla prima stretta di mano fino a quando sono uscita. Ho tremato dall’ emozione positiva che avevo dentro.
Quando ha cominciato a parlare la signora Foracchia dell'importanza della cittadinanza, del significato di essere cittadino italiano che deve prendere atto di tutto, di essere coinvolto alla vita di tutti i giorni e anche del diritto al voto, mi sono messa a piangere. L’ emozione era ancora più forte perchè mi sentivo una di voi, mi sentivo già a casa mia. Ho detto “Finalmente sono una di loro”. Anche prima mi sentivo una di voi, perché dopo tutto quello che mi era successo sono riuscita a inserirmi, però quando in più c'è quel foglio, ti senti ancor più di qua. Mi sono sentita privilegiata, so che in quel momento eravamo tutti uguali, ma non so perché dicevo: “io sono più vicina agli italiani”, mi sembrava di essere più a casa degli altri che erano lì.
Ero contenta per tutti perché dicevo: “poverini hanno aspettato come ho aspettato io però...” non so perché li sentivo un po' più estranei, anche vedendo che facevano fatica a parlare. Mi facevano tenerezza e pensavo “sì sono cittadini però devono ancora lavorare per sentirsi più a casa”.
Mi ricordo quando all'inizio, non riuscivo a capire quello che mi dicevano, mi sentivo umiliata. Non dico che sono stata brava però dopo 10 giorni riuscivo già a capire e parlare con delle frasi piccole. Guardando la televisione e leggendo ho imparato l’italiano in un anno. Mi sentivo importante. Mi ricordo bene il primo libro che ho letto, avevo un vocabolario dove guardavo il significato delle parole che non capivo. Dico questo perché è fondamentale conoscere la lingua dello stato dove abiti, se no non diventi cittadino veramente. Se vieni qua per lavorare o per studiare, devi rispettare questo stato, questa gente e devi imparare la lingua per comunicare, per te stessa. E’ fondamentale arrivare in fondo alle cose.