Erlin Gjoshi 1990 - Albania
Erisa Gjoshi 1994 - Albania

Erlin: Abbiamo lasciato il nostro Paese per la guerra civile del 97. Papà prese il primo gommone per togliersi dalla situazione drastica del paese. Io avevo 7 anni, Erisa 3. Abbiamo passato 5 anni solo con la mamma e una guerra civile.

Erisa: La mamma è rimasta un anno senza sentire papà, non sapeva se era vivo e cosa gli era successo.

Erlin: Il giorno della sua partenza, i telegiornali non dicevano che erano partiti due gommoni ma che ne era partito uno ed era affondato. Quello è stato il mese più triste perché pensavamo che fosse annegato in mare. Tempo dopo, abbiamo scoperto, che lui non era in quel gommone ed è stato uno dei sollievi più grandi. In Italia, a Campobasso, papà ha trovato una persona che l'ha assunto a lavorare e gli ha fatto i documenti e dopo un anno è successa la cosa più bella. Io ero a raccogliere legna per l'inverno e mentre tornavo a casa una vicina mi dice: “è tornato tuo papà”. Mi sono messo a correre finché non l’ho trovato.

Erisa: Anch'io ricordo l’arrivo di papà, quando l'ho visto gli sono saltata addosso come una bambina di 3 anni può fare. Ha portato i primi giocattoli che potevamo avere. Noi sapevamo che era passato in Italia ma solo quando ha acquisito i documenti è riuscito a contattarci. Mamma racconta che è arrivato il nonno col telefono e ha detto: “è tuo marito”. Lei non ci credeva, stava per svenire.

Erlin: La cosa più brutta di vivere senza il padre è la notte, perché il papà in casa di notte protegge. Non sapevi cosa poteva succedere, eravamo due bimbi piccoli e una donna soli, in una casa isolata in campagna, per ben 5 anni. La mamma non ha mai detto cosa provava, diceva: “Ci sono qui io, qual’è il problema?”. Aveva comprato tre lettini e dormivamo tutti nella stessa stanza. Avevamo poco, ma avevamo l'amore di nostra madre.

Erisa: Per Natale papà ritornava con i regali, mi ricordo ancora oggi il profumo delle arance e degli agrumi che ci portava e festeggiavamo. La stanza con i tre letti c’è ancora.

Erlin: La mamma coltivava la terra e l’orto da sola, aveva gli animali. Nel nostro piccolo, come possono fare dei bambini di quell’età, le davamo un mano. Erisa a 4-5 anni ha iniziato a cucinare ed io andavo a tagliare l'erba per la mucca. Questo segna una persona e fa apprezzare veramente le cose importanti della vita.

Erisa: I primi tempi papà tornava una sola volta all'anno. Ricordo la felicità della mamma che vedeva la nostra gioia perché avevamo il papà.

Erlin: Quando partiva c’era sempre tristezza. Dopo 5 anni in Italia, papà finalmente riesce ad avere il ricongiungimento familiare. Il ricordo più brutto di quel momento è quando abbiamo dovuto salutare il nonno, perchè dopo tre giorni che siamo arrivati in Italia il nonno ha avuto un arresto cardiaco e non ce l’ha fatta. Lui ci ha cresciuti, gli unici nipoti che ha avuto vicino, ha visto sua figlia soffrire e crescere da sola due bambini in mezzo alla guerra civile. Sapeva che era per una vita migliore ma vederci andare via… La nonna racconta che lui per tre giorni ha pianto. Il terzo giorno e’ andato a letto e non si è più alzato.

Erisa: L’ha visto coricato che piangeva e gli ha detto: “Perché piangi? Dovresti essere contento, finalmente si sono riuniti”.

Erlin: Dopo mezz’ora l’ha chiamato e non ha più risposto. Nessuno di noi poteva andare al funerale, perché entro 3 giorni bisognava depositare il permesso di soggiorno in questura e non si può recarsi nel paese di origine se no viene annullato il visto. E’ la cosa più brutta che ci poteva capitare.

Erisa: Il giorno della partenza ero triste perchè lasciavo i miei amici, però un po’ mi piaceva perché andavo in un posto nuovo e stavamo insieme. Le prime difficoltà sono state perche’ non conoscevo la lingua. A Campobasso c’erano dei bambini e giocavamo, mio fratello sapeva l’italiano e comunicava al posto mio.

Erlin: Abbiamo avuto difficoltà soprattutto i primi sei mesi perché non conosci nessuno e non sai se vieni accettato, però abbiamo avuto la fortuna di vivere nella zona di Regina Pacis, che ha delle belle scuole e ci hanno aiutato molto gli insegnanti. La professoressa d’italiano non la scorderò mai. Un giorno mi ha interrogato sulla lettura di un testo e mi sono inciampato diverse volte. Gli altri bambini si sono messi a ridere. Lei ha detto: “Il ragazzo è qua da tre mesi. Voglio vedere voi andare nel suo Paese e leggere nella sua lingua e vediamo se non vi inciampate!” Quella frase è stata una delle più importanti, è stato per me come dire: “ho qualcuno che mi protegge, non sono solo”. Anche i ragazzi l'hanno capita e da quel giorno sono diventati amici e mi aiutavano.

Erisa: Anche a me è successo in quarta elementare. Un bimbo che arriva da un altro paese si sente perso e quando gli altri si mettono a ridere ti ferisce. Alle interrogazioni facevo fatica ad esprimermi. Anche la mia maestra ha detto: “Ragazzi vi ricordo che lei viene da un altro paese, è qua da poco, provateci voi”. Poi mi diceva: “vieni che ti aiuto, non ti preoccupare, ripeti con me, non ti vergognare”. Dopo sei mesi ho imparato a parlare.

Erlin: A quell'epoca eravamo una delle poche famiglie albanesi e molti reggiani hanno aiutato fin da subito i miei genitori a cercare il lavoro. Quando uno si muove da un Paese all'altro, i primi mesi sono i più importanti, in base a quelli si scrive il futuro. Noi abbiamo trovato delle persone fantastiche. Devo dire grazie a Reggio Emilia.

Erisa: Nel quartiere Regina Pacis siamo di casa, conosciamo un po' tutti. Noi non siamo stati figli di migranti per loro ma siamo stati come figli.

Erlin: Devo anche spezzare una lancia a favore dei nostri genitori che dopo tutti i sacrifici e le difficoltà, ci hanno dato un'educazione esemplare. Mio padre tutt’ora mi dice: “Ricordati che non sei a casa tua, ti devi guadagnare la ‘casa’ rispettando il posto e le sue regole, sei qua per lavorare, imparare, studiare.”

Erisa: Ci dicono sempre: “Ricordatevi che questo posto vi ha ospitato, voi dovete valorizzarlo e rispettarlo il doppio di chi ci è nato per le possibilità che vi ha dato. Siate umili”. Noi siamo grati dell’educazione che ci hanno dato.

Erlin: Io sono il primo della famiglia che ha preso la cittadinanza italiana in una sala che rappresenta l'Italia, una sala dove veramente la grandezza di Reggio Emilia ha detto: “Qua si unisce l’Italia!”. Per noi significa: “Qua si unisce anche chi ha meritato di essere italiano. Io sento questa casa mia perché ho vissuto più qua che in Albania. Guadagnare e ricevere la cittadinanza è stato un passo fondamentale. Ci abbiamo messo tanto ma uno se la deve guadagnare con il rispetto e il lavoro. Non deve essere un privilegio.

Erisa: Per noi che siamo cresciuti e ci siamo integrati qua, quando lo Stato ti dà la possibilità di essere cittadino, è un traguardo bellissimo e lo rende tale perché ti porta in una sala che ha un valore importantissimo, davanti ad altri volti, altre storie. Quando sono entrata mi sono detta: “non mi emozionerò” e invece tremavo .

Erlin: Impossibile non emozionarsi. Vorrei dire una frase di Kennedy: “Non chiederti cosa fa lo Stato per te, ma chiediti cosa fai tu per lo Stato.” Secondo me per la cittadinanza è la stessa cosa, non mi devo chiedere cosa fa lo Stato per me, ma cosa devo fare io per lo Stato per guadagnarmi la cittadinanza.

Erisa: Io vorrei dire di non perdere le speranze anche quando parti e non vedi un futuro, perché lo Stato dove vai, se lo rispetti, ti dà tanto. La più importante è la possibilità di essere cittadino. A me è piaciuta tantissimo una cosa che ha detto l’assessore: “Non scordatevi delle vostre origini”. Vuol dire non scordarti da dove vieni.

Erlin: La forza di quella sala è riunire le storie di ognuno di noi, metterle tutte insieme. Avere la Cittadinanza, vuol dire anche appartenere ad una “famiglia”, uno Stato, rispettare le leggi e le persone che ci vivono. Siamo immigrati, veniamo da altri Paesi, da altre situazioni, però la cosa fondamentale è rispettare il Paese dove sei, le sue usanze e la sua Costituzione.

Erisa: Io quel giorno guardavo tutti uno per uno ed i loro occhi raccontavano: “ce l'abbiamo fatta, abbiamo raggiunto il traguardo”. E’ bellissima la cerimonia in Sala Tricolore perché l’importanza e l'emozione diventano ancora maggiori. E’ un bagaglio che rimane sul percorso della vita. Noi ci sentiamo reggiani! Parliamo anche un po' di dialetto.

Erlin: Reggio Emilia ci ha dato tanto, in primis la possibilità di lavorare e studiare contemporaneamente. Spero di laurearmi il prima possibile.

Erisa: Anche a me l’Italia ha dato l’opportunità di avere un’istruzione adeguata. Tra un po' mi laureo, avrò il mio studio e i miei pazienti. Sono cose bellissime, successe grazie anche ai nostri genitori che hanno preso la decisione di abbandonare tutto per una vita migliore e questa si è dimostrata veramente una vita migliore per noi. Hanno messo da parte la loro vita e hanno lavorato per dare il meglio ai figli.

Erlin: Oltre all’appoggio dei genitori è fondamentale anche l’appoggio del contesto perché noi sentiamo come famiglia tutta Reggio Emilia.

Erisa: E’ una cosa bellissima per mio fratello che ha fatto anche famiglia. A suo figlio stiamo insegnando anche la nostra lingua per non dimenticare le origini, lui parla in italiano ma capisce tutte e due le lingue.

Erlin: Nella sala Tricolore nel 2016 mi sono sposato con lo stesso Assessore del giuramento della cittadinanza. E’ una fatalità, un caso, però è stata una bella emozione ritrovare la stessa persona che mi ha unito in amore, come a dirmi: “Io ti ho sposato ma ti do anche la ‘casa’ ”.

Erisa: Anche per me Reggio e la cittadinanza è casa! Un sorriso e una speranza che non si spengono mai. Questa è la frase che voglio lasciare.

Erlin: La cittadinanza è uno degli obiettivi che avevamo, ma non è un punto di arrivo. I miei genitori stanno ancora aspettando, ma un giorno l’avranno.

Erisa: Quando noi abbiamo ottenuto la cittadinanza, è stato come se l’avessero ottenuta loro. Erano emozionatissimi e contenti, dicono: “Noi possiamo aspettare, ma per voi che siete cresciuti qua è fondamentale.”

Erlin: La cittadinanza per noi è un trampolino di lancio ma per i nostri genitori è un punto di arrivo, dove vendono che ce l'hanno fatta!